«Io non sono un uomo normale, sono Eric Cantona». A questa battuta il Grand Theatre Lumière esplode, tra risate e applausi, come se si fosse sulle gradinate di uno stadio. È la proiezione di Looking for Eric, ultimo lavoro di Ken Loach, che nel 2006 qui aveva conquistato la Palma d'oro con Il vento che accarezza l'erba.
Cinefili calciofili in visibilio, a pronunciare la frase è sua maestà Eric Cantona in persona. Ex centravanti del Manchester United, idolo dei suoi tifosi per cui era semplicemente il re o, addirittura, in un coro da stadio a lui dedicato, Gesù. Il Loach che non t'aspetti, profeta del cinema del lavoro e del proletariato, fiero osservatore dei drammi del capitalismo e profondo conoscitore dei meccanismi economici e politici, si concede una commedia dai contorni sportivi. Sceglie il giocatore più amato e odiato della storia d'Inghilterra per una fiaba sorridente e persino a lieto fine. Cantona, coprotagonista e produttore esecutivo – «ho sempre amato il cinema e soprattutto i film di Ken», spiega - divide la scena con un personaggio archetipico del cineasta britannico, interpretato da Steve Evest. Postino ma soprattutto tifoso dei Red Devils, vive solo con i due figli adolescenti, pieno di guai e rimpianti. L'unica sua consolazione è quel genio del pallone di cui tiene una gigantografia in camera e che un giorno diventerà una presenza tridimensionale, un consigliere che saprà reindirizzare la sua vita sbagliata sui binari giusti. Con consigli mutuati dal calcio (il giocatore accetta con grande autoironia di giocare con la sua icona, dalle sue massime al colletto rialzato) saprà regalargl o meglio aiutare a regalarsi, una vita nuova. «Una commedia – sottolinea Loach – è una tragedia che finisce bene. Non si deve fare sempre lo stesso film, solo essere fedele alla propria ispirazione. Si può fare anche stimolando il pensiero negli spettatori con una risata». E molti addetti ai lavori già prevedono risultati importanti al box office, il che sarebbe una novità per il cineasta. «Non è per questo che faccio i film– riprende Loach – so solo che ravviso nel calcio un'espressione nella vita: come il cinema ha al suo centro una collettività che lavora per uno stesso obiettivo. Quello che io voglio raccontare, appunto». Qui si traduce addirittura in una scena finale visionaria e geniale, in cui il protagonista e i suoi amici e colleghi d'ufficio e di stadio puniscono il cattivo di turno con un'incursione da hooligan a fin di bene. E per non farsi riconoscere hanno le maschere di Cantona.
«Ken è come Sir Alex Ferguson – conclude Cantona – con umiltà tira fuori il 100% dei suoi». Le zampate da vecchio leone rivoluzionario Loach le piazza comunque, dalla litigata calcistica sul miliardario Grazer al figlio implicato in un reato grave, passando per la solidarietà proletaria, l'altra faccia della medaglia del suo durissimo In questo mondo libero. E infine rivendica calcio e tifosi a sinistra, lasciati alle destre e all'emarginazione negli ultimi anni, in particolare in Europa e in Sud America. Loach si gode gli applausi, come l'italiana Bim, sua casa distributrice storica, che ha contribuito alla produzione. Valerio De Paolis il suo festival sembra averlo già vinto: i "suoi" film Taking Woodstock (Ang Lee), Un prophète (Jacques Audiard) e lo stesso Looking for Eric sono tra i più belli e apprezzati del festival. Senza dimenticare Tetro di Coppola. Quattro gol degni di Cantona.
